Nata e vissuta in città per oltre 18 anni, quando arrivai in Abruzzo il primo anno per prendere parte ad una vendemmia, tutti mi prepararono psicologicamente a quello che avrei dovuto affrontare: gechi, lucertole, lumache, ragni, topi, cavallette, serpenti…
Sebbene i topi, i serpenti, sporcarmi le mani… non mi avessero mai fatto ribrezzo o messo paura (anche perché li avevo incontrati solo al rettilario dello Zoo di Roma), con gli insetti, a partire dai normali e innocui ragni da appartamento, ho sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale… tanto che all’Università, l’esame che mi diede maggiori difficoltà fu quello di entomologia.
Nella mia facoltà, fortunatamente, non era richiesta la realizzazione della “scatola entomologica” (che prevede la cattura e la catalogazione di un certo numero di insetti), ma era sufficiente prepararsi adeguatamente sulla teoria presente sui libri di testo. Una passeggiata, direte voi! Bè… Io non riuscivo neanche ad aprirli i testi! …facevo fatica perfino a guardare le gigantografie riportate. Quando sfogliavo le pagine e mi trovavo davanti un mega scarafaggio, non riuscivo a fare altro se non… chiudere di scatto il manuale.
Per ovviare a questo problema, piuttosto pratico, decisi di iniziare a studiare un argomento che sentivo particolarmente vicino a me, più interessante di altri e meno schifoso di altri… l’alimentazione. Come si alimentano gli insetti? Di che cosa?
Bè, quando studiai che esistevano ben quattro diversi apparati digerenti, piano piano, conoscendo quel mondo così piccolo e distante, tutto iniziò a diventare per me particolarmente affascinante. Le foto erano sempre meno ripugnanti e, a poco a poco, il mio interesse cresceva.
Quando qualcosa che non conosci inizia a diventare più familiare, fa meno paura e lo si lascia avvicinare più facilmente.
Trai tanti insetti che dovetti studiare, la farfalla fu uno di quelli che mi rimase maggiormente impresso. Della famiglia dei lepidotteri, esistono centinaia di specie diverse di farfalle. La loro vita può durare dai 15 giorni ai 3 anni al massimo, a seconda della tipologia, ma quello che accomuna tutte loro è il ciclo vitale.
Tutte le farfalle hanno una vita scandita da 4 fasi e tutte devono far fronte ad una tematica, a me particolarmente cara: la metamorfosi.
Dal greco antico μεταμόρφωσις che deriva da μεταμορϕόω cioè “trasformare” formato da μετα- ossia “meta-” ( nel significato di “con, dopo”) e da μορϕή ovvero “forma”, la metamorfosi segna un cambiamento profondo, radicale del soggetto.
Chi non ha mai attraversato un momento della sua esistenza in cui sentiva di essere brutto, sgraziato, chiuso in sé stesso? Magari stai leggendo questo articolo e, proprio adesso, ti sembra di stare attraversando un periodo no, in cui tutto ti va male e non sai ancora in che direzioni muoverti.
Bene, la farfalla è quell’insetto che prima di diventare tale e di librarsi leggero in volo, attraversa un tempo all’interno di un bozzolo, piuttosto bruttino da osservare, sotto forma di bruco. Avete presente? Ce ne sono tante di storielle e di aforismi in merito a questa condizione!
Eppure, è come se alcuni concetti siano più difficili di altri da digerire. Da fare propri.
Il dover attraversare dei momenti bui, magari di attesa “attiva”, è uno di questi. Sebbene viviamo in una realtà particolarmente attenta alla dimensione temporale, al come risparmiare, investire, il nostro tempo… non tutto segue una linea temporale logica e lineare. Ci sono processi che hanno bisogno di trovare particolari condizioni, allineamenti, perché si possano compiere e noi, l’unica cosa che possiamo veramente fare è non perdere la fiducia, ma continuare a sostenere energeticamente i nostri progetti.
A chi non piacerebbe trovare tutto già bello che pronto, la strada spianata, gli obiettivi chiari davanti e risorse a volontà a disposizione? Eppure, come la stessa natura ci mostra concretamente, non è così che si spicca il volo.
Siamo tutti larve, bruchi, che hanno bisogno di un tempo prima di sbattere le loro ali per la prima volta e poter volare in alto. Talvolta anche di una facilitazione.
Quando feci il mio primo seminario sul Bambino Interiore era il 2007. All’epoca lavoravo già nell’azienda vitivinicola. Era una giovane laureata, la realtà era appena stata fondata e di cose da fare ce n’erano tantissime. Nonostante il mio entusiasmo fosse alle stelle, dopo un esercizio esperienziale particolarmente forte, quando feci la mia condivisione raccontai ad Alessandra, Docente del Master in Counseling Mediacomunicativo: Io voglio fare la Counselor. Pensi che sia fattibile conciliare questi miei due diversi mondi lavorativi? Alessandra mi rispose dolcemente, ma con fermezza: Per ora pensa a finire il tuo percorso formativo. Poi si vedrà.
Non ci avrei mai scommesso in principio su quello che la vita mi avrebbe riservato… ma in fondo non lo avrebbe immaginato mai nessuno che ad un certo punto, nel 2020, un’epidemia mondiale portasse l’intera popolazione a dover fare delle scelte, rivedere i propri valori, riguardare le proprie priorità.
Perché scrivo di questo episodio? Perché in questi 13 anni non ho mai smesso di studiare counseling, coaching, psicologia e tutto quello che aveva a che fare con la crescita personale e motivazionale. Come un bruco, dentro il suo bozzolo, sebbene la mia vita fosse in continuo divenire e fortemente proiettata all’esterno, dentro di me, tutto prendeva forma.
Oggi a distanza di tempo, non potevo scegliere un logo diverso che mi rappresentasse.
Con la speranza che la farfalla sia per tutti un esempio da seguire, oggi sono una Counselor Relazionale che dedica la sua vita per aiutare gli altri a spiccare il volo.
Con un ringraziamento sentito a Zuleika Fusco e Alessandra Caroli per avermi iniziata a questa meravigliosa professione.
Se senti che questo articolo in qualche modo ti abbia colpito, se desideri anche tu trovare la tua strada o rivedere il tuo percorso, non esitare a contattarmi. Sarà per me un vero piacere poterti facilitare in questa esplorazione. Fuori e dentro di te.

Potrebbero interessarti: