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Quella virtù chiamata “gentilezza”

Oggi è il 13 novembre e ricorre, in questa data, la Giornata Mondiale della Gentilezza. Quando mi sono soffermata a rifletterci su per un pochino, stranamente, nella mia testa è scattata un’associazione: gentilezza-gratitudine. Pensando a come portare un’attenzione maggiore a questa energia gentile, è come se una parte di me, avesse subito ringraziato la sua presenza.

La parola “gentilezza”, dal punto di vista etimologico deriva dal latino gentilis: “che appartiene alla gens”, al gruppo di famiglie che si riconoscevano discendenti da un comune capostipite. Questo vocabolo, fin dalle origini è stato legato al concetto di nobiltà e cortesia. Di appartenenza ed espressione di modi di fare tipici di un certo nucleo sociale. La socialità ha molto a che vedere con questa parola.

Essere gentili, nel nostro immaginario, ci rimanda quasi immediatamente ad una serie di azioni che solitamente ci fanno esprimere questo modo di essere, attraverso il fare: lasciare il posto ad una persona più grande di noi quando siamo su un mezzo pubblico, tenere la porta aperta per facilitare il passaggio di una persona che sta entrando o uscendo insieme a noi nel medesimo istante, accompagnare qualcuno alla macchina se ha parcheggiato un po’ distante, metterci a disposizione di un amico in difficoltà per aiutarlo in un momento particolare… Tante sono le occasioni in cui, ognuno di noi fa venire fuori quella sua parte dai toni pacati, dolci, aperti verso il prossimo. E questa non è connessa solo con il nostro modo di agire.

Secondo il Voice Dialogue, al quale fa riferimento la Media-ComunicAzione, noi siamo abitati da tanti sé, ognuno con delle caratteristiche ben precise. Tra questi spicca il nostro sè gentile, quella parte di noi particolarmente empatica che sa creare una relazione calda e accogliente con le persone che la circondano. A lui e alle sue doti dobbiamo tantissimo nel nostro quotidiano, ma spesso, per paura del rifiuto, dell’abbandono, del giudizio, del conflitto, questa nostra energia assume un volume così alto da diventare per noi un limite.

Andare nel mondo con un eccesso di sé gentile, alla lunga non è più funzionale al nostro benessere, anzi… evitare le discussioni, mostrarsi diversi da come si è per non contraddire chi abbiamo di fronte o per compiacere il prossimo… anche se in un primo momento ci può sembrare una risorsa, alla lunga ci fa perdere di autenticità. La nostra comunicazione verbale e non verbale diventa meno congrua, il nostro modo di relazionarci con gli altri meno fluido e, soprattutto, nel tempo, il dover essere gentili per far piacere agli altri, ci lascia una sensazione di malessere. Avete presente quando alla gentilezza di una persona si associa l’dea che sia anche, allo stesso tempo, un po’ ingenua?

Bene, l’eccesso di sé gentile ci fa andare in contro alle situazioni della nostra vita senza le dovute precauzioni ed anche con un baricentro spostato in avanti, verso l’altro. Quando non siamo centrati e in equilibrio con noi stessi, e con i nostri diversi sé, alla gentilezza diamo la responsabilità di essere una qualità poco efficace e spesso la copriamo e mascheriamo così da sentirci più protetti e meno vulnerabili. La verità è che non è l’essere gentili che ci mette in posizioni scomode o rischiose, è la nostra incapacità di accogliere le diverse sfumature che ci abitano e metterle in equilibrio tra loro e con le realtà che viviamo.

Non è certo l’essere empatici o accoglienti nei confronti del prossimo che ci rende soggetti a delusioni, ma la nostra difficoltà nel regolare i volumi delle nostre energie, riconoscere che essere gentili non vuol dire non contraddire il prossimo o farsi andare bene tutto, o ancora, essere sempre disponibili e pronti per gli altri.

La gentilezza è una sfumatura che ci abita e che può essere una grande risorsa nelle nostre relazioni, nell’intimità, nel raggiungimento del nostro benessere, ma, come ogni altra tonalità di colore, va dosata e ben gestita. Mai rin-negata.

Tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e di determinazione.
(Khalil Gibran)

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