Blog

Perchè è importante essere accanto a tutta la famiglia, quando c’è una vulnerabilità

Sabato 23 settembre, in una bellissima location quale il Palazzo del Museo Michetti di Francavilla al Mare, si è svolto un’interessantissima occasione di confronto tra professionisti della relazione di aiuto, le istituzioni e molte di quelle figure che quotidianamente operano per alleviare i pesi e le difficoltà di coloro che, in un momento della loro vita, hanno bisogno di aiuto. Organizzato dall’Associazione Orizzonte ODV che da 31 anni si occupa di disabilità e disagio sociale, facendosi carico degli utenti che accoglie, ma anche di tutto il mondo a loro vicino, ha permesso di fare il punto e far nascere idee.

Un onore aver partecipato, in qualità di relatrice, con un tema a me tanto caro: perchè è importante intervenire sulle famiglie, quando c’è una fragilità, un disagio e una disabilità. Di seguito la locandina del convegno e alcune considerazioni tratte dalla mia esperienza come Consulente Genitoriale all’interno dell’Associazione Orizzonte ODV e responsabile del progetto Parliamone Insieme.

La cosa più importante quando nasce un figlio con disabilità

è che… un figlio è nato.

La cosa più importante che accade quando due genitori mettono al mondo un figlio con disabilità

è che due persone sono diventate genitori.

Fergus & Asch, 1989

Ma quanto è realistica questa affermazione? La verità, purtroppo, e di storie ed esempi ce ne sarebbero un’infinità, è che quando un bambino nasce con disabilità o sviluppa durante il suo sviluppo, una patologia, la cosa più importante non è più la sua identità, la sua famiglia, la sua vita, ma… la malattia, la diagnosi.

Quando in un contesto familiare nasce un bambino con disabilità o, ad un certo punto si palesa un disturbo, una patologia, la verità è che sono tre sono le tipologie generali di relazioni distorte che si possono presentare all’interno della famiglia:

  1. Rifiuto
  2. Iper-protezione
  3. Negazione della disabilità

Una coppia genitoriale che riceve una diagnosi o che ad un certo punto è chiamata dalla scuola dell’infanzia, dalla scuola primaria, perché il proprio figlio ha una condotta anomala, presenta dei comportamenti “bizzarri” all’interno della classe, non segue il programma… ha, solitamente tre modalità di reagire alla situazione.

Rifiutarsi di accettarla e dunque cercare con tutte le sue forze un responsabile, un colpevole, un medico, uno specialista che dia un parere favorevole, una spiegazione meno dolorosa di una possibile disabilità o patologia.

Accogliere la situazione, ma accogliere non vuol dire accettare, e inizia a far vivere il proprio bambino, figlio… sotto una campana di vetro, impedendogli di sviluppare e potenziare ogni sua abilità.

Negare l’evidenza. Potrebbe sembrare una situazione analoga a quella già presentata, eppure in questo caso, la differenza è sostanziale dal rifiuto. Quando i genitori rifiutano la realtà, ne cercano una alternativa. A volte per mesi, per anni. Passando da uno specialista ad un altro, da una terapia ad un’altra.

Quando i genitori negano l’evidenza, allora tutti i pareri offerti per cercare di far attivare un percorso di sostegno, di potenziamento, di intervento, cadono nel vuoto. Provocano rabbia, ma non attecchiscono. E allora sono le maestre che non capiscono il bambino, è l’insegnate di tennis che non sa fare il suo lavoro, è l’amichetto che ha un carattere difficile…

Ed è proprio da queste relazioni disfunzionali che è nato tre anni fa il progetto Parliamone Insieme il desiderio di fare qualcosa per le famiglie e i genitori.

Tre sono i punti sui quali vorrei portare l’attenzione che motivano il perché sia di fondamentale importanza offrire un sostegno alle famiglie, se si desidera sostenere un bambino, un ragazzo, una persona con disabilità o che vive un momento di disagio.

I PRIMI 1000 GIORNI DI UN BAMBINO

I “primi 1000 giorni”, dal concepimento ai due anni di vita, sono il momento di maggiore sensibilità dell’individuo verso gli stimoli esterni. In questo periodo l’organismo umano è soggetto ad una vera e propria programmazione del suo sviluppo, tecnicamente, scientificamente è definito dall’espressione “developmental programming”, grazie alla quale uno specifico genotipo produrrà fenotipi differenti in base agli stimoli esterni ricevuti.

Secondo la teoria Developmental Origin of Health and Disease, confermata negli ultimi anni da innumerevoli studi, il rischio di patologie nell’adulto è modulato da fattori che agiscono sin da prima del concepimento sui genitori, e poi in utero e nei primi due anni di vita del bambino.

Molti dei fattori ambientali che intervengono prima, durante e dopo la gravidanza sul sistema madre-placenta-feto, agiscono sull’aspetto bioenergetico e l’epigenetica placentare e fetale. Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di studi scientifici ha dimostrato che la nutrizione materna, per esempio, è uno dei fattori principali attraverso cui il developmental programming si attua.

Questo ha portato ad una progressiva sensibilizzazione da parte degli studiosi e degli operatori del Sistema Sanitario, per promuovere un corretto stile di vita della madre fin dal concepimento e dalla cura di un ambiente stimolante e protetto allo stesso tempo, dove crescere il bambino. (Da https://air.unimi.it/handle/2434/638836)

Ma cosa si intende con ambiente stimolante e protetto al tempo stesso?

Quali sono i fattori sui quali sarebbe importanti intervenire e che magari ci sembrano essere secondari, ma secondari non sono?

  • Il contesto… dove vive il bambino, il clima è rilassato, giocoso, stimolante… oppure perennemente teso.
  • Come vengono soddisfatti i bisogni primari? Si fa attenzione all’alimentazione? All’importanza di riposare bene? Per esempio… Ci si scambia affetto?
  • Come viene stimolato e con quale frequenza il bambino. Ai genitori piace giocare con lui? Parlano con il bambino? Ci si relazionano?
  • E la relazione tra i genitori o tra i genitori e gli altri figli o tra i genitori e gli altri membri della famiglia… com’è.

Non so quanti di voi, molti sicuramente si, hanno sentito parlare della teoria dell’attaccamento e dell’esperimento di Harry Frederick Harlow con le scimmie macachi. Lo psicologo statunitense per confermare e proseguire gli studi già effettuati dal collega Bowlby, prese alcuni cuccioli di scimmie e li separò dalle loro madri. L’esperimento fu molto criticato perché considerato crudele e, in questa sede, cerchiamo di vederne gli aspetti a noi funzionali, tralasciando ovviamente quelli etici.

Harlow, non si limitò a separare i cuccioli dalle loro madri, ma li rinchiuse in delle gabbie con all’interno due oggetti: un biberon e un peluche che assomigliava ad una scimmia adulta. Nonostante quest’ultimo non fornisse nessun tipo di sostentamento, tutti i cuccioli lo scelsero, a conferma del fatto che: non è solo dando del nutrimento materiale che l’essere umano sopravvive. Abbiamo bisogno di cure, attenzioni, amore

FRATELLI E SORELLE DI PERSONE CON DISABILITA’

Questo è un tema sul quale credo che sia davvero importante soffermarcisi qualche minuto. Avete visto il film “Mio fratello rincorre dinosauri?” Il libro, scritto da Giacomo Mazzariol, trasformato in pellicola nel 2019 dal regista Stefano Cipani. Mio fratello rincorre i dinosauri è la storia di un bambino, Giacomo, al quale i genitori rivelano che presto avrebbe avuto un fratellino speciale. Lui subito pensa, con la sua fantasia e ingenuità di bambino, ad un supereroe, ma quando la mamma e il papà tornano a casa con Giovanni, lui dopo poco, capisce che c’è qualcosa che non va. L’entusiasmo in breve tempo si trasforma in vergogna e ci vuole l’intera adolescenza per trasformare quell’emozione in altro. In curiosità, accoglienza, accettazione, amore. Giovanni non ha solo un cromosoma in più. Giovanni ama il rosso e i dinosauri, ma ci vuole del tempo perché Giacomo scelga di entrare nel suo mondo e aprirgli le porte del suo. Il film è davvero toccante. A tratti leggero, ma non superficiale. Plana sulle tematiche trattate, dall’alto, come affermava Calvino.

La storia di Giacomo e Giovanni è una storia a lieto fine. I due bambini, da ragazzi, adulti, si sono ritrovati. Hanno avuto una possibilità. Ma quante volte questo non succede? Quante volte accade invece che il figlio con disabilità o che ha una fragilità, attira così tanto le attenzioni della famiglia, da non lasciare che agli altri fratelli e sorelle, non restano che le briciole o quelle frasi che enfatizzano un’autonomia, delle risorse e delle abilità che, a lungo andare sembrano più una condanna che un vantaggio. Per anni la letteratura scientifica ha riportato innumerevoli studi sugli effetti negativi dell’avere un fratello con disabilità, salvo, fortunatamente, poi ricredersi, perché in realtà, ciò che veramente fa una differenza… siamo noi. E’ il contesto. E’ la famiglia. E’ il gruppo classe. E’ il bambino che si incontra al parco giochi. 

Una relazione tra fratelli, sorelle… normodotati e, o con disabilità, non può avere una predeterminazione. E’ come si costruisce la relazione che fa una differenza sulla sua evoluzione e sugli effetti che questa ha sui due individui. E’ come si affronta il tema delle emozioni, della vergogna, del disagio, della difficoltà nello stare in quella determinata situazione. A volte non ce ne rendiamo neanche conto, fin quando non ci troviamo a vivere certe situazioni, ma… immaginate quando in una famiglia c’è un bambino autistico che non ha nessuna caratteristica “visibile” che lo rende “riconoscibile”. Quando vediamo un bambino che ha una patologia evidente, tutti siamo inclini a mostrare un atteggiamento di delicatezza, ma quando questo non accade… bè, allora la compassione spesso non la si trova. Le difficoltà aumentano. Si può ferire. Sì. E’ proprio così che possiamo ferire l’altro.

SPAZIO – TEMPO – ATTENZIONI

Se si vive a contatto con il dolore, con la sofferenza, con il disagio, giorno dopo giorno, non si può non subire delle conseguenze. Così come non si può far finta che tutto vada bene e non si ha bisogno di aiuto.

“Un giorno un professore entrò in aula e chiese ai suoi alunni, con un bicchiere mezzo pieno di acqua in mano, quanto fosse il peso di quel bicchiere. Gli studenti iniziarono a fare calcoli, considerazioni, assunti… fin quando il professore rispose loro. Il punto non è quanto pesa il bicchiere, ma quanto tempo io dovrò sostenerlo. Se non ho possibilità di posarlo su di un tavolo, di lasciarlo a qualcuno, dopo un quarto d’ora, un’ora, una giornata… il peso di quel bicchiere sarà l’equivalente di un macigno. Mi limiterà nelle azioni. Mi condizionerà nell’operato”.

Le famiglie, i genitori, i caregiver, altra delicatissima categoria, hanno bisogno di spazio, di tempo, di attenzioni.

Pensate, siamo tutti perennemente, di corsa. Non abbiamo tempo, ci sembra di non avere mai sufficiente spazio a casa (come nell’agenda) e facciamo una gran fatica nel sapere dove portiamo la nostra attenzione. Tra i miei più grandi interessi c’è la mindfulness e il praticare con regolarità l’attenzione al respiro. Quando lavoro con i miei clienti, spesso invito loro, prima di iniziare a parlare, a stare. A prendersi qualche minuto per far sì che oltre al corpo, sulla sedia di fronte a me, ci sia anche il loro cuore, la loro mente… e questo spessissimo, soprattutto all’inizio, si fa una grande fatica a sostenerlo.

Quando dei genitori chiedono aiuto, non è mai possibile offrirlo solo al figlio. La sua famiglia è parte integrante. Per alleviare un disagio, è necessario avere conoscenza del contesto. E spesso, anche se potrebbe sembrare paradossale… quando ci viene chiesto aiuto perché ci sono dei comportamenti difficili, delle reazioni violente… la vera trasformazione non la si ha lavorando sulla persona che manifesta tali modalità comunicative, ma intervenendo sull’ambiente, sulla famiglia, sulle relazioni. Tutto è comunicazione, diceva Paul Watzlavick e quando i toni si alzano, è perché ci sentiamo non compresi.

Ti potrebbero interessare:

You Might Also Like...