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Togliere le erbacce

Qual è la resistenza o la difficoltà maggiore durante un processo di cambiamento, il raggiungimento dei nostri obiettivi, il portare avanti un progetto che ci sta a cuore?

Superare lo scoraggiamento. E i numerosi momenti in cui siamo tentati, scoraggiati, di lasciar perdere tutto, sopraffatti dalla stanchezza, dal senso di frustrazione, dalle emozioni. In primis dalla tristezza.

Quante volte ci sembra di aver finalmente abbandonato una cattiva abitudine, di essere sulla strada giusta per il raggiungimento di un traguardo per noi importante… e, improvvisamente, ci accorgiamo di essere ricaduti in dei vecchi schemi disfunzionali?

Intanto, iniziamo con il congratularci con noi se ci siamo resi conto di questo. Benedetta consapevolezza! Per niente scontata!

…e poi, cerchiamo di non alimentare quell’idea, subdola, di essere gli unici a non imparare dai propri errori, a non essere costanti nelle proprie decisioni. Succede a tutti. Ma proprio a tutti!

Soprattutto quando si è stanchi, o tristi, è facile che si possano riaffacciare delle dinamiche poco funzionali. E non perchè siamo “duri di comprendonio”, ma perchè, per uscire dalle nostre zone di confort ci vogliono energie. Tante energie. E non sempre ne abbiamo. A volte siamo oberati di impegni, pensieri, preoccupazioni… e non riusciamo ad essere attenti, disciplinati, determinati… come vorremmo. E allora? Vi starete chiedendo.

C’è un’immagine che mi viene in mente, ogni volta che avverto la sensazione di ripercorrere strade già percorse. Mio nonno.

Quando vivevo a Ripa Teatina con mio nonno, dietro la nostra casa c’era un appezzamento di terra. Non era tanto grande, ma abbastanza per far sì che lui potesse coltivare con soddisfazione un bell’orto. Pomodori, melanzane, zucchine, broccoletti, fagioli… erano gli ortaggi che andavano per la maggiore. Ricordo ancora il sapore che avevano quei frutti della terra.

Ogni giorno mio nonno si svegliava di buon mattino e con amore e dedizione andava in campagna. Con lentezza e presenza percorreva quei solchi, osservando con attenzione ogni più piccolo dettaglio. Non bastava aver seminato dopo aver preparato il terreno; mi raccontava che era necessario seguire con costanza la crescita. Fin dal primo germoglio. Dalla prima fogliolina.

Quando innaffiava, quasi all’alba o vicino al tramontar del sole, sedeva sul dorso di una cassetta in plastica, seguendo il corso dell’acqua che dal tubo in gomma, scavava dolci rigagnaoli, fino a formare delle piccole pozze di acqua limpida e fresca. Nonno sapeva benissimo che da lì a pochi giorni sarebbero spuntate, nei pressi delle sue piantine anche delle erbacce. Invasive e prepotenti. E con altrettanta dedizione, ogni volta, sosteneva il processo, estirpando sul nascere le infestanti. Giorno dopo giorno. Settimana dopo settimana. Potremmo parlare di una pratica meditativa informale, se volessimo parlarne con un linguaggio attuale.

Fu nonno ad insegnarmi a stare.

Come ogni mattina ci svegliamo per mangiare, pur sapendo che avremo ancora fame, ci laviamo, nella consapevolezza che dovremo farlo ancora e ancora… così dovremmo approcciarci alle nostre cadute. Come un contadino che ciclicamente semina, innaffia, concima, strappa via le erbacce, pur sapendo che dovrà farlo ancora e ancora, così noi. Ogni volta che lo scoraggiamento sentiamo che si fa avanti, visualizziamoci come coltivatori di un orto immaginario dove ogni nostro progetto, obiettivo… è un semino che deve germogliare e crescere. Le erbacce sono le interferenze che incontriamo, i problemi, le difficoltà, le ricadute.

Non accaniamoci contro quello che la vita ci propone, contro di noi per non essere stati abbastanza. Come ogni volta che meditiamo, ciò che veramente è importante è il notare ogni qualvolta la mente va lontano, per riportarla dolcemente a seguire il respiro, così dovremmo approcciarci alla vita. Ogni giorno. Un seme alla volta. Un respiro alla volta.

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