Un cuore con un cerotto è custodito tra le mani di una persona in bianco e nero.
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Amare fino a perdersi: tra passione e patologia

Il dolore d’amore è antico quanto l’uomo; lo troviamo nei miti, nella poesia, nei romanzi di ogni epoca e cultura. È universale, temuto, eppure profondamente umano: tutti, almeno una volta nella vita, lo abbiamo provato.

Per molte persone, il termine di una relazione può trasformarsi in una sofferenza difficile da sostenere. In alcuni casi, così intensa da spingere a chiedere aiuto psicologico. Ma cosa rende alcune rotture così importanti?

“Chi comincia ad amare, deve essere pronto a soffrire.”
— San Pio da Pietrelcina

Quando l’amore colma un bisogno profondo

All’inizio di un amore sentiamo che alcuni dei nostri bisogni più intimi — come essere accolti, visti, protetti — trovano finalmente uno spazio. L’altro ci fa sentire degni, amabili, speciali e, in questo stato, l’amore appare come una magia.

Ma se qualcosa si incrina — se l’altra persona si allontana, cambia idea o smette di investire — la delusione può aprire un vuoto profondo, una ferita difficile da contenere. E pur di non cadere in quel “buco nero”, attiviamo meccanismi spesso inconsapevoli: razionalizzazioni, strategie di evitamento, tentativi di “aggiustare” la relazione a ogni costo.

Il bisogno di risposte e la trappola del rimuginio

Spesso, davanti alla fine di una relazione, il dolore non deriva solo dall’assenza dell’altro, ma dal bisogno di comprendere: Perché è successo? Di chi è la colpa? Cosa ho sbagliato?

Inizia così un loop di pensieri, domande, confronti mentali, ricerca di segnali, ricordi, interpretazioni… ripercorriamo i momenti belli e ci aggrappiamo ai “se solo…”: se solo gli scrivessi, se solo mi ascoltasse, se solo capisse…

Questa ricerca compulsiva di spiegazioni, anziché aiutare, alimenta il dolore: più cerchiamo di dare un senso logico, più amplifichiamo l’ansia e il senso di vuoto. La mente si affatica e il cuore si confonde.

Quando la ferita tocca l’identità

Nel legame amoroso, desideriamo essere riconosciuti e apprezzati per ciò che siamo. Se questa conferma viene meno, spesso non sentiamo solo la mancanza dell’altro, ma mettiamo in dubbio noi stessi: Sono abbastanza? Sono amabile? Cosa aveva l’altr* in più di me?

Quando una relazione significativa si rompe, può vacillare l’intera percezione di chi siamo; la ferita non resta confinata a un’area specifica della nostra vita, ma si espande, investendo identità, autostima, fiducia.

Perché rivolgersi a uno psicologo può essere utile?

Proprio per la complessità emotiva e psicologica che accompagna certe rotture, il supporto di un professionista può essere uno spazio prezioso in cui:

  • fermarsi e osservare cosa sta accadendo dentro di noi
  • distinguere tra ciò che dipende da noi e ciò che non possiamo controllare
  • interrompere circoli viziosi di pensiero
  • riorientare le energie verso il benessere e la cura di sé.

“L’amore è il più sublime degli autoinganni.”
— Giorgio Nardone

L’illusione e la magia dell’amore

Quando ci innamoriamo, ci affidiamo ai sensi: uno sguardo, una voce, un gesto. In quell’incontro, così carico di emozione, proiettiamo aspettative e desideri. L’altro diventa lo “specchio” in cui ci riconosciamo e ci sentiamo unici. È questo che rende l’amore così potente… ma il motivo che ci rende anche così fragili.

Lo sguardo, ad esempio, è uno degli elementi più significativi: attraverso gli occhi ci scegliamo, ci leggiamo, ci incontriamo e quando una relazione si incrina, è proprio nello sguardo che si fa fatica a rimanere: si evita, si sfugge, si interrompe.

Le risposte disfunzionali al dolore

Non è l’amore in sé a far male, ma le risposte disfunzionali che possiamo mettere in atto in nome dell’amore. Alcuni esempi?

  • Il dubbio patologico: lo amo davvero? mi ama ancora?
  • La risposta depressiva: ci si arrende, ci si sente vittime, si perde la speranza;
  • La risposta ossessiva: si cercano spiegazioni, si rimugina, si resta bloccati nel passato.

Nel dolore amoroso può emergere anche la rabbia, che se incanalata, può diventare forza, ma spesso, nella depressione affettiva, si spegne, chiudendosi in una rinuncia profonda.

Ricominciare: una direzione possibile

Ma se da un lato ci sembra tutto così difficile, soprattutto in un primo momento, è bene però ricordare a noi stessi che Tutti abbiamo dentro di noi le risorse che ci permettono di elaborare il dolore, di trasformarlo, di andare avanti. Nessuno escluso. Il punto è capire dove stiamo investendo le nostre energie: continuiamo a cercare nell’altro la nostra risposta, o iniziamo a cercarla dentro di noi? Abbiamo veramente scelto di ricominciare oppure siamo ancora aggrappati all’idea che avevamo, ormai disillusa?

Il mal d’amore, se affrontato con consapevolezza, può diventare una preziosa occasione di crescita, un invito a ritrovarsi, a scegliere sé stessi, e a ricominciare — non da dove si era arrivati o da chi si pensava di essere – ma da dove sei e come sei oggi.

✨ Se hai voglia di sperimentarti… ho qui un piccolo compito per te:
Quando hai modo, prenditi qualche minuto tutto per te, fai dei bei respiri profondi, allontana ogni forma di distrazione e, in silenzio, scrivi su un foglio:

  • “Cosa sto ancora aspettando?”
  • “Quale parte di me ha bisogno di essere vista e accolta ora?”
  • “In che modo posso prendermi cura di questa parte?”
    Lascia che le risposte vengano senza giudizio e anche se non ti sono subito chiare, lasciale un po’ lì… sul foglio bianco. Accogli con gentilezza anche il tuo temporaneo “non capire”.

“E arrivò il giorno in cui il rischio di rimanere stretta in un bocciolo era più doloroso del rischio che serviva per sbocciare.”
Anaïs Nin

Se senti che è il momento di ripartire ma non sai da dove cominciare, possiamo farlo insieme.
📩 Puoi contattarmi da qui. A volte, un primo passo condiviso fa già la differenza.

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